Francesco Lo Savio, Transitorio Continuo: first published in NERO Magazine, No. 15, 2008, pp 18–20

La luce è essenziale per la conoscenza dello spazio, lo spazio è essenziale alla costruzione d’azioni collettive, l’approdo all’architettura inevitabile per chi crede di poter far fronte a interessi sociali con controllate espressioni formali. Se l’uomo si trova ad operare in un ambiente, la prima azione da intraprendere è quella che conduce verso una relazione armonica tra sé e il proprio contesto: il lavoro estetico progredisce e cresce in analisi e verifiche, la realtà viene messa alla prova, sfidata, compresa e quindi modificata. 


Procedere tramite deduzioni rigorose, credere nell’utopia della ragione, con cui affrontare la vita, cristallizzarla, analizzarla, e risolverla. Questo è quello che mi viene in mente quando mi si chiede di Francesco Lo Savio. Lavoro estetico e lavoro scientifico sono omologhi, funzionano nello stesso modo. L’esattezza, più che la qualità, è lo standard su cui costruire e fondare un possibile giudizio di valore. Serietà, calcolo, attenzione al dettaglio, ti daranno del secchione, certo, ma i risultati raggiunti saranno assordanti come il monolite di 2001 Odissea nello Spazio, che costringe gli astronauti che gli si sono avvicinati troppo, a tenersi la testa tra le mani dal dolore. Francesco Lo Savio aveva una grande fede nella ragione e nel ruolo dell’estetica e dell’impegno intellettuale, per dare una soluzione alla fatalità del destino umano. Cercare rifugio nella ragione per sconfiggere l’irrazionale significa affidarsi totalmente alla logicità per arrivare alla conquista delle proprie certezze.
Il bianco e nero, la forma nitida, e, sopra ogni cosa, la luce che delinea i profili delle cose, che attraversa e definisce gli spazi. La secchezza del gesto non cancella l’interesse per il dato umano, al contrario lo celebra nella sua assenza, in una forma minima, fredda e misteriosa: mentre lo nasconde ne esalta il potenziale. Partire dalla parete, rimbalzare sulle tre dimensioni per arrivare a occupare ogni possibile spazio d’azione. Si tratta di una strategia, è palese. La luce, banale dirlo, è una forma d’energia che normalmente dissipiamo e disperdiamo. Conquistare la luce, dirigerla, incanalarla, significa impugnare il come e il perchè delle attività umane nello spazio. L’abc. Uno spazio vuoto sensibilizzato dalla luce che lo attraversa è l’esaltazione di una libertà d’azione, è la visualizzazione di un’esperienza che potrà vivere nel futuro. E’ questo quello che un lavoro di FLS ci vuole dire, in primis. Se è vero che tutte le arti tendono alla performance, la cosa si fa interessante 

quando sono le immagini che si rafforzano a tal punto da diventare eventi. “L’osservazione pura [infatti] non sarebbe nulla se non fosse la partecipazione diretta allo scaturire della vita nella sua dinamica esistenziale”. Passando ogni volta al livello successivo di una gerarchia, dal piccolo al grande, la scultura si fa architettura, e non nasconde ambizioni urbanistiche: aumentare le dimensioni, espandere l’oggetto nell’ambiente sino a farlo incontrare con il corpo umano, trattare lo spazio come un dispositivo pulsante, capace di evidenziare le proprie coordinate allo sguardo che lo indaga. Le forme geometriche sono una forma di resistenza ai codici imposti all’individuo, sono spazi potenziali, elementi di una struttura a sviluppo molecolare. 

Certo, leggere oggi queste parole ci può far sembrare il lavoro di Francesco Lo Savio come un parente di tutte quelle innumerevoli sculture e installazioni modulari che vediamo crescere nello spazio, di strutture componibili che risolvono formalmente il tanto bistrattato lascito modernista. 

Basta non farsi sfiorare da tentazioni vintage, per capire che lo sguardo di Lo Savio contiene in nuce un’ossessione spaziale, decantata in una precisione formale troppo rigorosa per cedere a forme spettacolari. 

Una ricerca rigorosa, appunto, quasi ascetica, consapevole che le immagini si consumano, si usurano, e devono dunque essere cambiate in continuazione, a meno che non se ne prevenga l’invecchiamento, non le si svuoti preventivamente. Ed ecco il bianco e nero. E i grigi, gli infiniti toni di grigio che nascono dal rapporto tra luce e ombra. Un architetto è un inventore di nessi, di partiture, di operazioni spaziali, non di arabeschi o di figure, ma di un programma spaziale che va applicato inflessibilmente. La costruzione di uno sguardo è un’indagine speculativa del proprio ambiente, e la costruzione di forme è un’estensione della vita. Non c’è scarto tra la costruzione immateriale di un pensiero e la sua effettiva concretizzazione nella materia. Filtrare la luce vuol dire avere a che fare con un flusso di energia che si modifica costantemente e senza sosta, l’apprezzamento della materia trova riscontro in un universo di forme che ne esaltano le qualità. Dalla luce, e dal rapporto con la natura, discende l’amore per la materia, i materiali e la fisicità degli oggetti. Provate a pensare a un mondo popolato da oggetti che se la cavano da soli; senza bisogno di chiamare in causa il nome di chi li ha pensati e creati per nobilitarli. Non sarebbe fantastico? Perfetti nella loro algida geometria, gli oggetti sarebbero certo in grado di nascondere ogni segno della loro genesi, della costruzione umana, il manifesto di una metafisica glaciale.
È un po’ come quando, dopo un temporale estivo, una macchina lascia il posto dove era stata parcheggiata. Quello che rimane al suolo è il segno asciutto del volume che occupava. È un pieno che diventa vuoto, disegnato per ospitare un altro volume. 

O un po’ come svegliarsi la mattina dopo una nevicata notturna incredibilmente intensa, e scoprire che tutto, a perdita d’occhio, è coperto di bianco, irriconoscibile, con un profilo sintetico, laconico, misterioso. Poi la neve si scioglierà, ma poco importa, l’immagine è fissata. Per sempre. 

Si, la neve si scioglierà, ed è proprio questo ad affascinarmi. È un flusso, transitorio e continuo. La luce e il dinamismo suggerito dalle opere di Francesco Lo Savio mi conquistano per la loro musicalità. Dico musicalità perché si tratta di intendere la vita della materia, e l’esistenza in generale, come un flusso ininterrotto, fatto di pulsazioni e di diverse intensità. La musicalità di un suono è complessa e sfuggente; in fin dei conti di un suono non si può prendere uno still, come lo si può fare di un’immagine, sia questa ferma o in movimento. Non si può ridurre un suono ad un’entità minima. Questo è molto importante, perché costringe ogni volta ad una ricerca, ad un rapporto attivo e scomodo con le cose. Quando penso ad una scultura in caramello, o gonfiata con dell’elio, penso proprio a questo. A una formalizzazione transitoria, destinata ad avere una storia breve, a visualizzare un pensiero solo per il tempo necessario a metabolizzarlo, soltanto per gli istanti necessari ad imprimersi nella memoria.

Light is essential for understanding space, and space is essential for building up collective actions. Anyone who believes in formal expressions to deal with social interests will inevitably turn to architecture.
When we find ourselves working in a particular setting, the first thing we need to do is work towards a harmonious relationship with our environment: art takes shape and moves forward by means of analysis and verification. Reality is put to the test, challenged, understood and then modified. We need to proceed by precise deductions, believing in the utopia of reason in order to confront life, crystallize it, analyze it, and ultimately resolve it. This is what comes to mind when I am asked about Francesco Lo Savio.
Aesthetic work and scientific work are counterparts, and they both operate the same way. The standard on which any value judgment should be based and constructed is not so much quality as precision. Seriousness, calculation and attention to detail: they’ll call you a nerd, of course, but your results will be as ponderous as the monolith in 2001 A Space Odyssey, which forces astronauts who come too close to it to hold their heads in their hands to alleviate the pain.
Francesco Lo Savio had great faith in the power of reason and in the ability of aesthetics and intellectual commitment to provide a solution for the inevitability of human destiny. Seeking refuge in reason in order to overcome the irrational means, relying entirely on logic to conquer one’s own certainties.
Black and white, clear-cut forms and, above all, the light that gives things their outlines and that goes through and defines spaces. The aridity of the action does not eliminate the interest in the human aspect. On the contrary, it celebrates it through its absence, in a minimal, cold and mysterious way: it amplifies its potential while concealing it. And it starts out from the wall, ricocheting through three dimensions and it ends up occupying every possible space of action. This is a strategy, and it is quite manifest. Light is of course a form of energy that we normally dissipate and disperse. Conquering light, directing it and channeling it, means challenging the why and the wherefore of human activities in space. It is their ABC.
Sensitized by the light that passes through it, an empty space epitomizes freedom of action and constitutes the visualization of an experience that will come to life in the future. This is the primary significance conveyed to us by FLS’s art. While it is true that all the arts tend towards performance, things start to get interesting when images are so powerful as to become events.
“Observation alone would indeed be nothing if it were not direct participation in the bursting forth of life in its existential dynamic”.
By constantly moving up a level in a hierarchy, from small to large, sculpture becomes architecture and does nothing to hide its urban-planning ambitions: increasing the size and expanding the object within the environment until it comes into contact with the human body, treating space as a pulsating device capable of revealing its position to the eye that investigates it. Geometric shapes, which constitute a form of resistance against the codes imposed upon individuals, are potential spaces and elements of a structure with a molecular evolution.
Reading these words today might of course make it look as though Francesco Lo Savio’s work is related to all those countless modular sculptures and installations that we see growing in space, like modular structures that provide a formal response to the much-abused legacy of modernity. If one does not fall into the trap of vintage, one can see that Lo Savio’s vision contains the seeds of an obsession with space. This is decanted into a sort of formal precision that is too strict to lead to spectacular forms. A meticulous, almost ascetic research, conscious of the fact that images wear out and thus constantly need to be changed, unless one decides to prevent them from aging and to empty them out in advance. And thus we come to black and white. And gray—infinite shades of gray—that arise from the relationship between light and shade.
An architect is an inventor of links, of orchestrations and spatial operations, not of arabesques or figures, but rather of a spatial program to be applied with absolute discipline. Building up a vision is a speculative investigation of one’s own environment, and the construction of forms is an extension of life itself. There is no discrepancy between the immaterial construction of a thought and giving it physical form. Filtering light means dealing with a constantly, relentlessly changing flow of energy. The appreciation of physical matter is reflected in a universe of forms that enhance its quality.
Love of matter and materials, and of the physicality of things, stems from light and from our relationship with nature. Just try imagining a world filled with objects that get by on their own, without needing to involve the person who thought them up and created them in order to give them their dignity. Wouldn’t it be fantastic? Perfect in their aseptic geometry, objects would be able to hide any sign of their creation, of their human construction, as the manifesto of some ice-cold metaphysics. Rather like when, after a summer storm, a car leaves the place where it was parked. What remains on the ground is the dry sign of the volume that occupied it. A solid that becomes a void, ready to accept another volume.
Or like waking up in the morning after an incredibly heavy snowfall during the night, and finding that, for as far as the eye can see, everything is now white and unrecognizable, all with an unnatural, laconic, mysterious outline. The snow will of course melt, but that is beside the point, for the image is fixed. Forever. Yes, indeed, the snow will melt, and that is what fascinates me. It is a continuous, transitory flow. The musicality of the light and dynamism of Francesco Lo Savio’s works win me over every time. I say musicality because his art comprehends the life of matter, and of existence in general, in a constant flow of pulsations and varying intensities. The musicality of a sound is both complex and elusive. Ultimately, you cannot capture a sound as a still, as you can in the case of an image, be it stationary or in movement. You cannot reduce a sound to some minimal entity.
This is very important because each time this forces research and an active, at times inconvenient relationship with things. When I think of a sculpture made of caramel, or inflated with helium, this is exactly what I have in mind. I think of the creation of a fleeting form. One that is destined to have a short life, a thought that appears only for the time needed to metabolize it. Only for the moment it takes to become impressed upon our memory.