Bruno Munari, Thank you ! first published in Italian in: Flash Art, august/september 2009, pp. 28–29

Qualche giorno fa ero in un negozio e mi sono fermato a guardare un oggetto, un rettangolo di metallo con dei buchi circolari, astratto, elegante, un’opera perfetta dal sintomatico mistero.
Ho chiesto cosa fosse e mi è stato detto che era uno spaghettometro, una cosa che misura la quantità di spaghetti da cucinare in base al numero di persone. Fantastico. Il numero di persone non è più tradotto in un un peso, in grammi, come si fa solitamente, ma in un buco, un cerchio di un determinato diametro corrisponde a determinate bocche da sfamare.
3 persone = 9 cm. Fantastico.
Ecco, questa è la prima cosa che mi viene in mente pensando a Bruno Munari, una cosa che lui non ha né fatto né pensato (dico io), ma che sembra uscita da uno dei suoi libri; da una di quelle collezioni di stimoli che ci insegnano a vedere il mondo con una prospettiva diversa, inedita, come quell’ordine strambo che solo lo spaghettometro può conferire alle cose.
A me piacciono molto i cerchi, come quelli dello spaghettometro, e anche le sfere, ma forse, ancor più delle sfere, le uova, che sono più eleganti (e misteriose) e che una volta Bruno Munari ha definito “una forma perfetta fatta col culo”. Ecco, vedete, per arrivare a dire una cosa del genere devi essere brillante, avere ironia e il distacco dalle cose che l’ironia ti dona, o ancor di più lo Zen. Sì, lo Zen, e forse questo articolo si potrebbe intitolare “Lo Zen e il design…” Dopo Lo Zen e il tiro con l’arco, e Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta…Lo Zen e le cose…
I libri che ho appena citato parlano di un rapporto con le cose fatto di esperienza, di curiosità, di scoperta di nuovi equilibri. Si tratta proprio di non aver paura di passare di palo in frasca, di guardare ogni cosa con lo stesso interesse, senza gerarchie prestabilite, con la consapevolezza che Da cosa nasce cosa, e che per Mettere al mondo il mondo basta ascoltarlo e seguire il suo stesso Codice ovvio.
Nel 1970 Robert Morris pubblicava su Artforum le sue “Notes On Sculpture”, dove notava come fosse oramai inevitabile passare da una relazione visiva con le cose a una aptica, tattile, viva; per un incontro totale, fenomenologico, del corpo col mondo. Nel 1970 Bruno Munari parlava ai sensi di grandi e piccini da molto tempo, li faceva rimbalzare tra caos e ordine, tra corpo e materiali, Nella nebbia di Milano come Nella notte buia. L’arte per lui non era altro che un’arena per azioni performative, per giochi collettivi. Qualcuno ha detto: “Datemi una leva e vi solleverò il mondo”, Bruno Munari ci ha insegnato a vedere leve ovunque come una sorta di corso propedeutico. Ma se quello di Itten al Bauhaus durava solo un anno e si prendeva molto sul serio, Munari ci ha iscritto a una scuola che non chiude mai, piena di ironia e a noi non resta che seguirla nei suoi innumerevoli sviluppi.
Già. Non dobbiamo rinchiuderci nelle nostre certezze, ma mantenerci aperti al mondo, guardare sempre le cose con curiosità. Spesso penso al lavoro di un ricercatore e immagino una persona che si chiude in uno spazio di lavoro, isolato dal mondo e lì si sfida, analizzando le proprie possibilità conoscitive ed espressive, un po’ come Bruce Nauman appena uscito dall’accademia, nel suo studio, con una tazza di caffè e il cruccio dallo spazio vuoto, col fallimento beckettiano nella mente, interrogarsi in una stanza vuota, tentare, cercare.
Ecco, forse Bruno Munari, come qualcuno prima di lui, trovava e non cercava… una cosa è quello che noi vogliamo che sia… lo ripeto… lui diceva che Da cosa nasce cosa.
Negli anni Settanta molti designer radicali italiani si riunirono sotto il nome di Global Tools, con l’intenzione di agire nel mercato delle idee e delle cose con una “strategia dei tempi lunghi”, che mi fa pensare a Munari, a un pensiero che dura nel tempo, che si scioglie piano piano, che ci influenza, ma quelli erano i tempi dei “documenti programmatici”, delle barricate, dei duri e puri. Munari ovviamente non era parte di quella realtà, troppo poco ideologico, e forse troppo pratico, ma l’idea
di un attrezzo globale, generale, generico, sempre buono perché sempre diverso mi fa proprio pensare a lui, a un’intelligenza che scivola via come un’anguilla viva e furba, ma anche semplice ed efficace come il pollice opponibile.
Bruno Munari è prima di chiunque altro un global tool, per la sua fiducia nel pensiero manuale, un ossimoro che mi piace moltissimo, e che mi viene in mente per tutte quelle pratiche che aumentano le nostre conoscenze e consapevolezze grazie al fare pratico.
Con il pensiero che si sviluppa con le mani, coi polpastrelli, invece che con le meningi soltanto, puoi fare una scultura che non sai mai che forma avrà (un po’ come Flexy), pensarne una che cresce senza sapere come andrà a finire, il che fa venire in mente una pianta, un processo organico. Una cosa più grande di te, una cosa viva, da far crescere con delle direttive, ma che devi rispettare, a cui devi voler bene, una scultura che se la guardi bene è una scultura sociale (che invece di essere alimentata a miele come quella di Beuys, è alimentata a idee). Una scultura che insegna con il suo esempio, quasi una scuola personale, spontanea e libera, come quella che sognava Ivan Illich.
Ci hanno insegnato che per parlare di un designer del dopoguerra bisogna parlare di razionalismo, della scuola di Ulm, e del Bauhaus. Sul tetto del Bauhaus a Dessau si faceva tanta ginnastica: c’è chi si è adoperato una vita intera a studiare il palazzo, o le vite dei professori che vi insegnavano; ora la febbre per il modernismo ci vuole raccontare vita, morte e i (pochi) miracoli di tutti i suoi protagonisti. Credo che Bruno Munari più di chiunque altro si sia concentrato su quella terrazza, e per tutta la vita abbia creduto nella ginnastica, nello Zen e forse anche allo yoga. Sto esagerando, ma siamo tutti d’accordo: che la sua fosse una ginnastica mentale, ginnastica come esercizio, come metodo, ginnastica all’aria aperta che libera la mente, aperta agli agenti atmosferici… curiosità… consapevole che solo negli incontri con l’altro impariamo… Da cosa nasce cosa, appunto. Forse non lo sapete, ma è un aneddoto che sembra uscire da una delle pagine di Munari: Alexander Fleming, mentre lavorava a un esperimento basato su colture batteriche, lasciò per accidente il suo lavoro scoperto, vicino a una finestra aperta. Alcune spore microbiche entrarono dalla finestra, e contaminarono il suo esperimento. Era sul punto di buttare via tutto, quando notò delle strane zone dove non riuscivano a svilupparsi le colture batteriche.
Iniziò così una nuova ricerca che portò alla scoperta della penicillina. Ciò che è accaduto è stato pura fortuna, unita però alla prontezza di osservare gli eventi.
È fondamentale tenersi aperti a qualsiasi evoluzione.
La chimica è la scienza che interpreta le proprietà della materia e le sue trasformazioni.
Se prendiamo il sodio puro e lo mettiamo nell’acqua causeremo un’esplosione, se ingeriamo del cloro muoriamo. Se però uniamo il cloro al sodio otterremo cloruro di sodio, il sale da cucina. Da cosa nasce cosa, così come succede in natura. Ho detto prima che Bruno Munari era una specie di scultore sociale, ma forse mi sbagliavo, ecco, forse non era uno scultore, ma un chimico.
Pensavo di conoscere Munari, ma è stato troppe cose assieme e ogni volta che tento di ritrarlo, di definirlo, mi ritrovo in mano una foto sfuocata come quelle dei fratelli Bragaglia, con un pugno di mosche in mano. Forse è più facile parlare di lui descrivendo un paio tra le cose molto belle che ci ha lasciato; e io vi lascio elencandole.
Esiste un libro per turisti globali, prontuario e salvezza del turista fai da te, una raccolta di fotografie di tutto quello che può servirci in viaggio ma che non sappiamo come chiedere quando non sappiamo nemmeno dire ciao nella lingua del luogo. Basta indicare la fotografia e siamo salvi. Un libro per chi alle rotte sicure preferisce l’esperienza. Sono convinto che Bruno, con la sua visione delle cose, abbia contribuito a fare quel libro anche senza saperlo. Bruno Munari ha anche unito il mandarino all’arancio creando il mandarancio, ha inoltre pensato di far crescere la frutta in casseforme, per poterla trasportare meglio, arrivando a progettare l’anguria cubica che tutti pensano essere una stramberia giapponese. Nel 2005 ha girato il mondo una mostra di cose super normali, che si chiamava “Super Normal”, elogio della bellezza del disegno che sparisce nelle cose, che non si fa notare per il clamore ma per il valore. Quella mostra, in realtà l’ha fatta Bruno Munari, anche se non era più tra noi. Prima di vedere quella mostra, ho letto un libro che si intitola Flatlandia, scritto moltissimi anni fa da un buffo signore inglese: quel libro, in realtà, l’ha scritto Munari. Voi direte di no, direte che sto dicendo delle sonore bugie. Ma vi sfido a pensare davvero che non sia così.

A few days ago I was in a store and stopped to look at a gadget, a metal rectangle with round holes. It was abstract and elegant: a perfect, mysteriously-suggestive work. I asked what it was and I was told that it was a spaghettometer, a gadget that measures the quantity of spaghetti to cook based on the number of people. Great. The number of people is no longer translated into weight or into grams, as is usually done, but in holes; a circle with a certain diameter corresponds to a certain number of mouths to feed. 3 people = 9 cm. Great.
There you are, this is the first thing that comes to my mind when I think of Bruno Munari, one thing that he neither did nor thought of (so to say), but that seems to come straight out of one of his books; from one of those collections of stimuli that teach us to see the world from a different, original perspective, like that strange order that only a spaghettometer can give to things.
I love circles, like those of the spaghettometer, and also spheres, but perhaps, even more than spheres, eggs, which are more elegant (and mysterious) and that Bruno Munari once defined as “a perfect form that comes out of a butt”. There you are, you see, to say something of the kind, you must be brilliant, have a sense of irony and the detachment from things that irony gives you, and Zen even more. That’s right, Zen, and perhaps this article could be entitled “Zen and design…” After Zen and archery and Zen and the art of motorcycle maintenance …Zen and things…
The books I just mentioned speak of a relationship with things made of experience, curiosity and the discovery of a new balance.
It is about not being afraid of jumping from one topic to another, to look at each thing with the same interest, without pre-established hierarchies, with the awareness that Da cosa nasce cosa (Things are born from Things), and that for Mettere al mondo al mondo it’s enough to just listen to it and follow its own Obvious code.

28 Flash Art – August September 2009

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BRUNO MUNARI

In 1970, Robert Morris published his “Notes on Sculpture” in Artforum where he noted how it was now inevitable to pass from a visual relationship with things to one that is haptic, tactile, active; for a total phenomenological meeting of the body with the world. In 1970, Bruno Munari spoke to the senses of young and old alike for a long time, making them rebound between chaos and order, Nella Nebbia di Milano like Nella notte buia. Art for him was nothing but an arena for performances, for group games. Someone has said: “Give me a lever and I will raise the world for you”, Bruno Munari taught us to see levers everywhere as a kind of preparatory course. But if Itten’s at the Bauhaus lasted only a year and he took himself very seriously, Munari has enrolled us into a school that never closes, filled with irony and all that remains for us to do is to follow it in its numerous developments.
Of course. We must not withdraw into our certainties, but remain open to the world and always look at things with curiosity. I often think of the work of a researcher and imagine a person who shuts himself into a work space, isolated from the world and there challenges himself, analyzing his own opportunities for knowledge and expression, a bit like Bruce Nauman, just out of art school, in his study with a cup of coffee and tormented by the empty space, a Beckett–like failure in his head questioning himself in an empty room, trying, searching.
So, perhaps Bruno Munari, as someone before him, found and didn’t search …one thing is what we want it to be…I repeat…he said that Things are born from Things.
In the 1970s many radical Italian designers met under the name of Global Tools, with the intention of operating in the market of ideas and things with a “long-term strategy”, which makes me think of Munari, of a thought that lasts in time, that slowly melts, that influences us, but those were the times of “policy documents”, of barricades, of die-hards. Munari was obviously not involved with that reality; he was not very ideological and perhaps too practical, but the idea of a global tool, general, generic and always good because always different, makes me think precisely of him, of an intelligence that slips away like a sly, live eel, but also simple and effective like opposable thumbs.
Bruno Munari is before anyone else a global tool, for his trust in manual thinking, an oxymoron I like a lot and that comes to mind for all those practices that increase our knowledge and awareness thanks to practice.
With thinking that develops with the hands, with the fingertips instead of with only the brains, you can create a sculpture and never know what shape it will take (a bit like Flexy), think of one that grows without knowing how it will end up, which brings to mind a plant, an organic process. Something bigger than yourself, something alive, to develop with guidelines but that you must respect, must love, a sculpture that if you look at it closely is a social sculpture (which instead of being fed with honey like the one of Beuys, is nourished with ideas). A sculpture that teaches by example, almost a personal school, spontaneous and free like the one that Ivan Illich dreamt of.
We were taught that when speaking of a post-war designer we had to speak of rationalism, the school of Ulm and the Bauhaus. A lot of gymnastics took place on the roof of the Bauhaus at Dessau: some dedicated their entire lives studying the building or the lives of the professors that taught there. Nowadays, the fever for modernism wants us to talk about life, death, and the (few) miracles of all its protagonists. I believe that Bruno Munari, more than anyone else, concentrated on that terrace and for his entire life he believed in gymnastics, in Zen and perhaps also in yoga. I am exaggerating, but we all agree: that his was mental gymnastics, gymnastics as exercise, as a method, gymnastics in the open air that frees the mind, open to atmospheric agents… curiosity… aware that only when meeting others do we learn…
Da cosa nasce cosa, precisely.
You may not know but it is an anecdote that seems to come from one of the pages of Munari: Alexander Fleming, while he was working on an experiment based on bacterial cultures, accidentally left his work uncovered near an open window. Several bacterial spores entered through the window and contaminated his experiment. He was about to throw it all out when he noted some strange areas where bacterial cultures weren’t growing. That’s how a new research began that led to the discovery of penicillin. What happened was pure luck, combined however with the acumen to observe events. It is essential to be open to any evolution.
Chemistry is the science that interprets the properties of matter and its transformations.
If we take pure sodium and put it in water we will cause an explosion, if we swallow chlorine we will die. But if we combine chlorine and sodium, we obtain sodium chloride, cooking salt. Da cosa nasce cosa, like what happens in nature. I said earlier that Bruno Munari was a sort of social sculptor, but maybe I was wrong, perhaps he wasn’t a sculptor after all, but a chemist.
I thought I knew Munari, but he was too many things bundled together and every time I tried to portray him or define him I found myself holding a blurry picture, like those of the Bragaglia brothers, empty-handed. Maybe it is easier to speak of him describing a couple of the terrific things he left us; and I will let you make a list of them.
There is a book for global tourists, a handbook and survival manual for the do-it-yourself tourist, a collection of pictures of everything that may be useful when traveling, but that we don’t know how to ask for when we can’t even say “hello” in the local language. Just point to the picture to save the situation. A book for those who prefer to get off the beaten track.
I am convinced that Bruno, with his vision of things, contributed to making that book even without knowing it.
Bruno Munari also combined mandarins and oranges to create clementines. He also thought of having the fruit grown in the shape of a crate to ship it more easily, and he went all the way to designing the square watermelon that everyone thinks is an outlandish idea from Japan.
In 2005, an exhibition of very normal things he called “super normal” was seen worldwide. It was a tribute to the beauty of design that disappears in things, which isn’t shown for the clamor but for the value. In reality, that exhibition was organized by Bruno Munari, even if he was no longer with us.
Before seeing that exhibition, I read a book entitled Flatlandia, written many years ago by an amusing Englishman: that book, in reality, was written by Munari.
You will say no, you will think it’s a resounding lie. But I challenge you to really think it wasn’t that way.

Luca Trevisani was born in Verona in 1979. He lives and works in Milan and Bologna.

Figure:

Columbus’ egg

A perfect form that comes out of a butt…

From the previous page: Meo Romeo – Gatto Meo, 1949. Black foam rubber, nylon, II x 31 cm.

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